Riflessioni di Safiyya Surtee, traduzione e adattamento dall’inglese all’italiano di Rosanna Maryam Sirignano

L’abbigliamento è un aspetto indispensabile dell’esistenza umana: abbiamo bisogno di abbigliarci per motivi meramente pratici e utilitaristici, per proteggerci dagli agenti atmosferici, al contempo l’abbigliamento ha tante altre funzioni nelle nostre vite, in primis come segno di dignità e abbellimento. Il Corano afferma:
“Figli di Adamo, vi abbiamo donato delle vesti per coprire le vostre parti intime e come ornamento, però la miglior veste è la taqwa (pietà, consapevolezza della presenza divina). Ecco un segno di Dio affinché essi ricordino” (Corano 7:26)*
Da questo versetto impariamo che i migliori capi di abbigliamento sono quelli che instillano taqwa nei nostri cuori, che, cioè, ci ricordano di Allah e ci conducono alla consapevolezza della Sua presenza nel nostro profondo. L’atto di vestirsi ha un importante scopo spirituale, che va oltre il principio di necessità e il mero adornamento. Vestirsi come atto di consapevolezza spirituale è un concetto stupendo: in questa ottica, una semplice azione diventa uno dei segni di Allah attraverso il quale possiamo ricordarLo. Avete notato che gli abiti che riserviamo alle preghiere, al dhikr**** o che indossiamo per entrare in una moschea, anche se fosse una semplice sciarpa o un mantello, sono intrisi di un senso di spiritualità, perché li adoperiamo con profonda consapevolezza della presenza di Allah? Quando li indossiamo, entriamo in una diversa dimensione, con determinazione e particolare cura. Nella tradizione spirituale islamica, consegnare un pezzo di stoffa, come una sciarpa, è un gesto che si fa per connettere lo studente al maestro e simboleggia il legame di fiducia e amore. Alcuni dei Compagni del Profeta Muhammad *** gli chiesero un pezzo dei suoi abiti a cui diedero un enorme valore; uno di loro addirittura usò un manto ricamato del Profeta come suo sudario (Bukhari). L’abbigliamento, in una prospettiva islamica, è anche parte integrante dell’adab, l’eccellenza nella condotta, come si evince dai principi etici contenuti nel Corano in cui Allah ci dice:
“Figli di Adamo, adornatevi quando vi recate in un luogo di preghiera: mangiate e bevete. Non siate eccessivi, poiché Allah non ama gli eccessi” (Sura 7:31)
Questo versetto suggerisce al credente di adoperare un abbigliamento adeguato per le preghiere: questa è una delle azioni che fa parte dell’adab di accostarsi ad Allah. Questo passo ci ricorda anche di non scadere in eccessi, perché l’abbigliamento potrebbe diventare anche simbolo di orgoglio e arroganza. Ognuno di noi ha il dovere di esaminare le proprie intenzioni e la sincerità in qualsiasi azione, inclusa la scelta dell’abbigliamento. La modestia è una delle caratteristiche peculiari dell’Islam, e dovrebbe essere il nostro principio guida.
Attraverso l’abbigliamento esprimiamo la nostra individualità, la nostra identità culturale e a volte la nostra appartenenza politica (ad esempio in alcuni paesi a maggioranza islamica, il modo in cui le donne avvolgono il copricapo indica la loro inclinazione politica). Il colore e la creatività sono allo stesso modo parte del dress code islamico all’insegna della modestia e della semplicità: la sfida consiste nel trovare un equilibrio. Il messaggio del tawhid** ci permette di accogliere la diversità senza forzarla ad uniformarsi, poiché siamo tutte creature uniche di Allah. Per questa ragione, il tobe sudanese, il kanga della Tanzania, i buba e gele nigeriani, la jalabbiyya nordafricana, il sari e salwar kameez indiano o il baju kurung malesiano possono essere tutti considerati “islamici”, perché sono tutti manifestazioni di modestia e bellezza.
Dalla Sunnah, impariamo che il Profeta, ogni volta che indossava un nuovo capo di abbigliamento lo menzionava con gioia e diceva: “Oh Allah! Per te è la lode, mi hai vestito, Ti chiedo per il suo bene e per il bene per cui è stato fatto, cerco rifugio in Te dal suo male e dal male per cui è stato fatto” (Tirmidhi). Il Profeta insegnò anche ai suoi seguaci di iniziare a vestirsi dal lato della mano destra (Abu Dawud). Incoraggiò a vestirsi di bianco, dicendo che il bianco fosse la miglior scelta di colore per gli abiti (Nasa’i) e amava usare lo stesso abito per molto tempo prima che diventasse logoro (Bukhari).
Le donne vicine al Profeta in quanto ad abbigliamento erano per lo più preoccupate della purezza degli abiti della preghiera, e questa era la principale questione che riguardava l’ abbigliamento. Esse indossavano abiti di vari colori. Anas ibn Malik disse di aver visto Umm Khultum, la figlia del Profeta, indossare un indumento di seta rossa (Bukhari), una donna una volta si recò da Aisha per un reclamo e in questo racconto è menzionato il fatto che indossasse un indumento verde (Bukhari). In un altro racconto si narra che una giovane donna si recò dal Profeta che indossava una camicia gialla che gli piaceva molto e che la indossò per molto tempo come testimoniato dalla ragazza (Bukhari). Si narra inoltre che il Profeta vestì sua figlia Fatima con un abito di velluto rosso (Nasa’i) e che Aisha indossava spesso un manto di seta (Muwatta) che suo nipote Abdullah ibn Zubayr le aveva donato. In un’altra tradizione, si dice che il Profeta proibì ad una donna nello stato di ihram, stato di purità rituale dei pellegrini, di indossare guanti, veli per il viso e vestiti colorati con lo zafferano; e permise a tutti, quando lo stato di purità si era compiuto di indossare quello che desideravano, abiti colorati di giallo, seta, gioielli, pantaloni, camice e scarpe (Abu Dawud).
Le donne al tempo del Profeta indossavano cinture e fasce dalla famosa storia di Asma bint Abu Bakr leggiamo di come usò la cintura per legare la sacca del cibo del Profeta e suo padre Abu Bakr in occasione della migrazione a Medina (per questo le fu dato il nome di “dhat al nitawayn” “la donna delle due cinture). Le donne avrebbero indossato gioielli anche in occasione di incontri. È narrato, ad esempio, che dopo il sermone di una preghiera dell’Eid, festa, il Profeta andò dalle donne con Bilal che distese un pezzo di stoffa chiedendo donazioni e che loro cominciarono a riempirlo con anelli, orecchini e altri gioielli. (Bukhari).
Come donne del mondo moderno abbiamo bisogno di imparare dalla semplicità delle donne che circondavano il Messaggero di Allah, in modo da non essere preda delle tendenze materialistiche e consumistiche del mondo della moda, in cui i corpi delle donne sono manipolati e ridotti a oggetto. Dovremmo resistere agli irrealistici ideali rappresentati dall’industria della bellezza attraverso un modo di vestire al servizio della spiritualità e della taqwa. Dovremmo anche resistere, come donne musulmane, all’essere ridotte al concetto di hijab, velo islamico, che tende ad essere l’unico punto focale dei discorsi sulle donne e l’Islam. La nostra spiritualità e scopo della vita si estende molto al di là e al di sopra di quello che indossiamo. Anche se seguiamo la moda occidentale moderna, non dovremmo abbandonare i nostri abiti culturali e tradizionali o essere titubanti a sperimentare il modo di vestire di altre culture. L’abbigliamento è anche uno dei doni e delle benedizioni del paradiso, jannah, quindi vestire in modo modesto qui ed ora in questo mondo, rendendo Allah visibile attraverso i nostri abiti, ci ricorda della vita eterna che verrà, e Allah promette al popolo del Paradiso:
“portano abiti verdi di seta fine e di broccato, sono ornati di bracciali d’argento, il loro Signore li disseterà con una bevanda purissima.” (Corano 76:21, traduzione di Ida Zilio Grandi)
Questo straordinario passaggio dovrebbe essere un promemoria per impegnarci ad indossare questi abiti del Paradiso, piuttosto che rivolgere le nostre preoccupazioni solo all’abbigliamento in questo mondo.
*La traduzione del Corano in italiano è di Rosanna Maryam Sirignano laddove non esplicitato.
** Il tawhid è il principio cardine alla base del concetto dell’unità e unicità di Dio (Allah)
*** Nel testo originale l’autrice riporta quella che in italiano è la sigla PBSL, Pace e benedizione su di lui, l’eulogia che i musulmani menzionano ogni volta che nominano il Profeta Muhammad. Lo stesso vale per altre personalità della storia islamica al cui nome sono seguite formule di lode di altro tipo. Nella traduzione italiana si è scelto di non riportarle in forma scritta per una più agevole lettura anche da parte di persone non musulmane.
**** Il dhikr, letteralemte “ricordo”, è un atto devozionale islamico che consiste nella menzione ripetuta di una formula di lode a Dio o di uno dei suoi 99 nomi più belli.
Safiyya Surtee è una ricercatrice, scrittrice e blogger. Si occupa di Islam, femminismo, politica e spiritualità. Molto attiva per la sua comunità, ad esempio è membro del comitato del Masjid al-Islam, una moschea gender inclusive e non settaria a Johannesburg.
Photo credits: <a href="http://Vendita foto creata da freepik – it.freepik.com” target=”_blank” rel=”noopener”>Designed by Freepik
Mi piace:
"Mi piace" Caricamento...