Siria, la casa del cuore

Di Linda Covato

Particolare di un suq ad Aleppo

Ma-smuki? /Ismi Linda. /Ah, Linda! Linda Ism 3arabi. Enti sadika. Enti mitla-na.

(come ti chiami? /Linda/Ah, Linda! Linda è un nome arabo. Sei un’amica, sei come noi!)

Un giorno sul taxi, tornando all’università: Enti min…./Min Italiya./Enti italiyya! al- italiyyin ka-l suriyyin!… ma b-3arif as-sabab./Mumkin li-l bahr mutawassit/Ee!!! kullu-na min al-bahr mutawassit!!!

(Vieni da…/dall’italia./Sei italiana! Italiani e siriani sono uguali….anche se non saprei il perché /forse per il Mediterraneo/Sì!!! tutti noi veniamo dal Mediterraneo!)

La mia Siria è bayt qalbi. O Galbi. O Kalbi. A seconda di dove vado. La mia casa del cuore.

Qualcosa che è capace di dare vita, anche solo con il ricordo di un odore, un sapore, una musica, un immagine, a un sorriso, un racconto, una lacrima.

Vinsi una borsa di studio nel 2008 per frequentare un semestre ad Aleppo, tramite la facoltà di Studi Orientali della Sapienza di Roma. Sarebbe stato un viaggio per me fondamentale. Ha gettato le basi della Linda che sono oggi.

Linda a scuola in Siria nel 2008

La mia Siria è una terra di contraddizioni. Di corruzione nascosta in piena vista. Dove due università si accordano per una borsa di studio ma quando arriviamo ad Aleppo, accolte (eravamo in due) da due squisiti professori del dipartimento di lingue straniere dell’università, raggiungiamo la Dar ad-diyafa (casa dell’ospitalità, una sorta di studentato) dove è previsto che alloggiamo. E ops nessuno sa che dovevamo arrivare. Però, magia, accordandoci per un affictto mensile più alto, ecco comparire due stanze tutte per noi.

È la stessa Siria dove per avere il visto di uscita, passi ore al ministero degli affari esteri, passando da un petit général a un grand géneral, di stanza in stanza, di piano in piano, come in un quadro di Escher. Ore per avere due timbri, e sentirsi porre per decine di volte le stesse domande. E alla fine notare che tu e la tua compagna di università, arrivate in Siria lo stesso identico giorno, con lo stesso volo, avete due visti di uscita diversi.

Poi, però, pensi che in fondo in Italia, non è così diverso a volta. Le dinamiche sono le stesse, solo, magari, più discrete, più politically correct.

La mia Siria è Dar ad-diyafa, oggi rasa al suolo, all’università di Aleppo, dove ho conosciuto amici meravigliosi, con i quali sono ancora in contatto, dal 2008.

La mia Siria è l’Alto Istituto di Lingue, dove ho veramente imparato l’arabo, arrivando con solo qualche nozione di grammatica, dal nostro libro universitario, che è un libro del 1932 e spiega l’arabo come fosse una lingua morta. Ma le professoresse non hanno perso la fiducia in me, e sono arrivata a un parlato e uno scritto che mi ha stupito.

La mia Siria è Seif ad-Dawla, quartiere di Aleppo, oggi distrutto dove facevamo maxi cene con gli amici sudanesi.

La mia Siria è senza dubbio il cibo: il foul di Jdeide (si fanno scommesse degne di man versus food, su quante ciotole si riescono a mangiare), i succhi di frutta naturali, essere invitati a pranzo dalla prof e avere davanti una distesa del migliore cibo siriano, è passeggiare per il suq di Aleppo e fare shopping mentre i negozianti ti offrono tazze di te, o meglio ancora zuhrat.

Poi c’è l’ospitalità. Così grande che all’inizio non la credevo vera. Pensavo ci fosse qualcosa sotto. Mi sbagliavo. In Siria puoi entrare in un khan per comprare stoffa ed essere invitato a cena col tuo gruppo di amici, con kebab e musica. Puoi partire con i tuoi amici per cinque giorni alla scoperta dei villaggi cristiani intorno a Damasco ed essere invitati a dormire in casa di una famiglia.

Linda durante una gita in Siria nel 2008

C’è la tensione degli estremi. Potevi essere arrestato perché viaggiavi con un camper con antenna satellitare.

Allo stesso tempo, pur essendo un paese a maggioranza musulmana, le festività cristiane erano rispettate. Così in primavera ogni tanto scoprivo che non ci sarebbe stata lezione, perché era Pasqua. Ma come, non era Pasqua il mese scorso? Quella era la Pasqua siriaca. Questa è la Pasqua cattolica. Poi ci sarà quella ortodossa.

C’era la possibilità di trasformare ogni occasione in una festa, in un momento di condivisione. Allo stesso tempo, c’era censura dell’informazione. Quando arrivai a febbraio 2008, una decina di giorni dopo il mio arrivo, mi chiamò mia madre preoccupata “tutto bene?” “sì, perché?” “c’è stata una bomba a Damasco!” prendo il telecomando della sala comune, passo in rassegna tutti i canali e nulla. Questa notizia non apparirà mai.

Verso fine aprile con i miei compagni di corso e gli amici sudanesi organizziamo una gita a Qala’at Al-Jabr di Assad. Gli amici sudanesi ci dicono che non sarebbero potuti venire, perché c’era una festività importante in quei giorni e non potevano mancare.

Non era vero. O meglio la festività c’era. Ma loro non potevano dire in pubblico che sarebbero venuti in gita con noi, invece di rimanere in casa. Gli studenti sudanesi non erano visti di buon occhio, e ogni tanto i loro movimenti finivano nell’occhio del mirino. La nostra gita insieme l’abbiamo fatta. Uno dei luoghi più magici mai visti.

Linda durante una gita con i suoi compagni di classe in Siria nel 2008

La mia Siria è il tempo scandito dal mu’ezzin e dalle preghiere. É il rispetto del tempo per pregare.

È anche vivere le giornate come una barzelletta. Come quando andammo a Deir iz-zor con due amici, una ragazza franco-algerina, aveva doppio passaporto, e un ragazzo americano, anche lui doppio passaporto, americano e saudita. Loro entrambi musulmani. Quando arriviamo in stazione, tutti vengono fatti scendere dal pullman, tranne noi tre. E così come una barzelletta “l’americano e la francese devono andare al comando di polizia”. “E l’italiana?” “Vieni anche tu, dai”. E così ci ritroviamo a chiacchierare con tre poliziotti divertiti dal fatto che fossimo un americano, una francese e un’italiana, ma tutti avessimo nomi arabi.

Per me la Siria è meravigliarmi. La meraviglia del deserto dispiegato sotto Deir Mar-Mousa, per assistere alla messa di Pasqua con Padre Paolo Dall’Oglio e poi partecipare alle danze e ai festeggiamenti della Pasqua e pensare, che è così che dovrebbe essere la Pasqua ovunque, che dalle nostre parti, non ci abbiamo capito granché, forse.

La Meraviglia di Qala’at Salah-ed-din, e di Qala’at al-Jabr, del gelido e cristallino lago di Assad.

La Siria ti entra nel cuore, e nella testa, per restarci, al punto che ogni immagine di guerra, ogni notizia di spari e bombe, arriva dritta al cuore e affonda gli artigli.

*Linda Covato ha generosamente donato questo suo ricordo a La mia Siria. L’articolo è pubblicato oggi 15 marzo 2021 a 10 anni dall’inizio della rivoluzione siriana. Onore alle vitttime vive o morte di questa immensa tragedia umana. Onore ad ogni lacrima versata per questo dolore senza fine. Onore e gratitudine all’umanità che resiste sempre e comunque.

Quale umanità per la Siria. Il caso siriano come testimonianza di r-esistenza

Di Francesca Girani

La mia Siria come ponte tra i lavori delle biografie dei siriani Moustafa Khalifa, scrittore e Aeham Ahmed, musicista e scrittore.

Introduzione della prova finale in letteratura araba della studentessa Francesca Girani. Relatore prof.ssa Sana Darghmouni, Università di Bologna, Dipartimento di Lingue Letterature e Culture moderne.

Il  presente  progetto  elaborato  in  questi  mesi  non  vuole  essere  un’analisi  politica, geopolitica  o  sociologica  della  questione  siriana,  bensì  un  tentativo  di  dar  voce  a  un popolo  che,  nella  sua  ricca  disomogeneità  e  tragica  storia,  ha  cercato  da  sempre  di resistere, esistere, come ci mostra la scrittrice Rosanna Maryam Sirignano nel suo libro La mia Siria. Ella, italiana di origine, é entrata in contatto con la Siria grazie ai suoi studi  e  mai  ha  potuto  abbandonarla.  Il  suo  rapporto  intimo  con  questa  terra  e  il  suo popolo lo si comprende attraverso le preziose testimonianze che ha raccolto. Per questo motivo  l’ho  scelta  come  collante  e  intermediaria  fra  due  mondi  che,  al  contrario  di quanto si pensa, sono accomunati da molteplici elementi, primi fra tutti, il cuore di ogni uomo  che  si somiglia perché grida e cerca la libertà. Le sue testimonianze mettono in luce  e  collegano  quel  mondo  che,  da  troppi  anni,  si  trova  a  vivere  una  profonda diaspora:  una  Siria  distrutta  dalla  guerra,  difficilmente  riconoscibile  ora  sotto  le macerie, ferita al profondo, i cui i resti testimoniano un barlume di speranza e di vita. Le storie  del  siriano  Moustafa  Khalifa,  e  Aeham  Ahmad,  appartenente  alla  minoranza Palestinese in Siria e cresciuto nel piccolo paesino di Yarmouk vicino a Damasco, sono di  fatto  l‟esempio  lampante  di   come  la  vita  possa  andare  avanti  e  possa  trovare  una ragione  anche  quando  tutto  quello  che  c‟era  un  tempo,  dagli  affetti,  a  un  luogo  da chiamare casa, un luogo dove lavorare o studiare, ora è venuto meno, è stato colpito ed è  radicalmente  cambiato.  Le  loro  crude  biografie,  che  non  risparmiano  al  lettore dettagli, sentimenti o filtri, fanno luce sui fatti accaduti durante gli anni di prigionia sia fisica, nel caso di Moustafa, che spirituale, nel caso di Aeham, rappresentando in modo particolare ciascun siriano, e universale ogni uomo. La loro storia, divenuta pilastro per la  letteratura  del  dissenso,  di  prigionia  e  di  esilio  fisico  e  mentale,  ricorda  che  ogni uomo ha un talento, una peculiarità, che possiede solo lui, che scopre nel Tempo, nella pazienza  maturata  dentro  la  sofferenza,  nella  tragicità  delle  circostanze,  nelle  fatiche della propria esistenza,  ma che, se scoperto ed educato, lo accompagna per tutta  la sua vita.  Queste  tematiche  sono  l‟oggetto  della  mia  indagine  e  sono  accompagnate  da molteplici  quesiti  che  si  trasformano  nel  fil  rouge  che  pondera  il  seguente  progetto: dove sta la speranza in un mondo in cui sembra vincere solo il Male; come può l’ uomo resistere quando spesso viene annullato; quale vita c‟è in Siria. Questi interrogativi non sono né scontati né banali, soprattutto quando ci si accorge che le domande che la Siria e il suo popolo pone, si trasformano e vengono condivise anche oltremare; ed è qui che sta  la  sua  potenza.  Si  è  cercato  il  più  possibile  di  rimanere  fedele  alle  parole autobiografiche degli scrittori che  si sono  prese  in analisi, trovando con molto stupore sentimenti  ed  esperienze,  certamente  calate  in  circostanze  diverse,  che  riprendono  la vita quotidiana  di ognuno: come un uomo riesce a vivere e dove trova la forza per farlo quando  è  “rinchiuso”  fra  ostacoli  o  mura  che  non  ha  scelto?  Questa  commovente attualità  che  la  letteratura  siriana  presenta,  è  conferma  di  quanto  si  è  scoperto  nei seguenti capitoli.

Nessuno si senta escluso da questa ricerca.

Di conversioni e operazioni di salvataggio

 

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di Margherita Picchi *

Mi piace considerarmi una figlia dell’Illuminismo.

Ho ricevuto un’educazione laica, improntata a un’etica rigorosamente anticlericale, per non dire antireligiosa: quand’ero un’adolescente impegnata, mi definivo robespierrista. Non che l’universo religioso fosse assente dalla mia infanzia (tutt’altro), ma invece della Bibbia mi sono stati letti i miti greci, e non ho fatto catechismo né religione cattolica a scuola; fatto peraltro ben poco insolito nella mia città natale, Firenze, dove sono cresciuta a pane e blasfemia e all’ora di religione in classe restavano quattro gatti.

Avevo 16 anni l’11 settembre 2001, quando le Torri Gemelle sono crollate nell’attentato terroristico più famoso della storia contemporanea (dopo l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo, forse). Dieci anni dopo mi laureavo all’Orientale di Napoli con una tesi specialistica sul pensiero di Sayyid Qutb, il maggiore ideologo dell’islamismo radicale contemporaneo. Avevo deciso di specializzarmi in storia dell’Islam politico perché volevo capire chi erano, questi Altri che secondo i media ci odiavano, e avevo capito presto che la storia era ben più complessa di così. Avevo capito che terrorismo ‘jihadista’ e Islam politico sono due cose diverse, che il primo è la degenerazione del secondo un po’ come il terrorismo rosso è stato la degenerazione del pensiero di Marx e il Terrore francese del robespierrismo; e avevo capito che il jihadismo è un fenomeno che si spiega molto meglio leggendo il contesto storico politico dell’800-‘900 piuttosto che le parole del Corano (questa storia l’ho raccontata altrove): quello che mi preme qui raccontare è che questa maggiore comprensione non aveva intaccato di un millimetro la mia convinzione che l’Islam fosse una religione irrimediabilmente maschilista.

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Margherita al GayPride 2010 (Napoli) Foto di Emma di Taranto

Non che avessi un’opinione migliore del Cristianesimo, dell’Ebraismo, o delle religioni in generale. L’unica scelta ‘giusta’ per le donne mi pareva quella del laicismo. Il semplice fatto che i paesi del mondo che hanno il risultato migliore nel gender gap index siano anche quelli che hanno la percentuale più alta di ateismo mi pareva una solida base per concludere che la strada dell’emancipazione femminile dovesse necessariamente passare dall’abbandono della religione, e che le donne non religiose fossero più emancipate di quelle che si identificano come tali. Era un ‘dogma’ che non avevo mai messo in discussione.

Cosicché, quando l’amica più cara che ho conosciuto all’università mi ha annunciato di essersi convertita all’Islam, la mia reazione è stata di shock.

Non capivo. Com’era possibile? Conoscevo Rosanna come una ragazza brillante, certo un po’ tormentata, ma lucida e aperta di mente. Eravamo andate a un gay pride insieme. Ammiravo il grande coraggio con cui aveva scelto di imbracciare uno stile di vita e un pensiero laico, allontanandosi dalla religiosità molto rigida cui l’avevano educata i suoi genitori, testimoni di Geova. In questo senso, la sua era stata una ‘scelta’ molto più della mia, che alla laicità ci sono stata cresciuta. Non capivo come potesse essere ‘tornata indietro’, tanto più per imbracciare l’Islam. Ma l’aveva letto il Corano, i versetti che attribuiscono ai mariti un ‘grado di privilegio’rispetto alle loro mogli, e il diritto di disciplinare con la forza le consorti disobbedienti?

Ero turbata, arrabbiata. Ci ho dormito male diverse notti. E alla fine ho concluso che qualcuno le aveva fatto il lavaggio del cervello e che era mio dovere di amica andare a salvarla.

Rosanna si era infatti convertita in Siria, dove avevamo pianificato di andare entrambe a studiare l’arabo – prima della guerra Damasco era una meta privilegiata per gli studenti di arabo di tutto il mondo. Lei era partita qualche mese prima di me, io l’avrei raggiunta a dicembre 2010; ed è proprio qualche settimana prima del mio arrivo che lei ha deciso di raccontarmi la sua decisione di convertirsi, perché non lo scoprissi all’arrivo.

Scelta saggia, di cui la ringrazio – almeno ho avuto modo di abituarmi all’idea.

Riflettendo sulla notizia, ho concluso che un mutamento così repentino non poteva spiegarsi che con una sorta di lavaggio del cervello (mi aveva detto che non c’entrava un uomo, ma non ci avevo creduto subito), e mi sono armata di argomenti razionali per decostruirlo. Ho comprato una copia di L’illusione di Dio di Richard Dawkins, l’ho infilata in valigia e mi sono ripromessa di regalargliela appena arrivata – così, tanto per cominciare la conversazione.

Poi sono atterrata all’aeroporto di Damasco, e finalmente l’ho vista.

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Margherita e Rosanna in un ristorante a Damasco poco prima di rientrare in Italia

Lo ricordo molto bene, ed è buffo, perché non ho alcuna memoria di quando io e lei ci siamo conosciute, ma ricordo come fosse ieri quando l’ho vista per la prima volta come Maryam. Ho pensato che il “cencio in capo” non le stava poi male, e sono rimasta spiazzata da quanto era raggiante il suo sorriso. Somigliava un po’ a quello con cui è stata fotografata al suo arrivo Silvia Romano: anche se la storia di queste due donne è molto diversa, la luminosità che ho visto era la stessa. Era come se nel mettersi un velo se ne fosse tolta un altro; come se si fosse sollevata un’ombra (ho scritto che era ‘un po’ tormentata, ricordate?), che non ho visto tornare mai più.

Il libro gliel’ho dato e lei l’ha accettato con molto garbo, ma mi sono sentita una stupida all’istante. Il sermone laicista che mi ero preparata è risultato goffo e inadeguato pure a me, e l’ho tagliato corto molto presto. Era chiaro che fosse felice, più felice di prima, e che diamine di senso poteva avere ‘salvare’ la mia amica da qualcosa che l’aveva resa felice?

Ho ritenuto più intelligente chiudere la bocca e aprire gli occhi e le orecchie. E’ stata un’esperienza istruttiva, che ha avuto un ruolo determinante nel farmi poi scegliere di specializzarmi nello studio del femminismo islamico, e sostenere il lavoro delle donne che quei famosi versetti scelgono di contestualizzarli, invece di usarli come scusa per oscurare il profondo egualitarismo del messaggio coranico.

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Margherita a Damasco fotografata da Rosanna

Più di ogni altra cosa, forse, è stata l’accoglienza che ha ricevuto Rosanna al suo ritorno a motivarmi. Anche lei si è infatti presa la sua dose del fango che si riversa in modo inevitabile su ogni donna che scelga di convertirsi all’Islam (e che di solito risparmia gli uomini che fanno lo stesso, chissà perché). Ho sentito cattiverie sul suo conto che mi vergognerei a riportare: ed eravamo all’università di Napoli ‘l’Orientale’, fra studenti di arabo e studi islamici, non nella sede della Lega di Predappio. Come se la sua scelta costituisse qualche sorta di tradimento culturale imperdonabile, anche fra gente ‘acculturata’, di sinistra, antirazzista.

Ed ecco che Silvia Romano torna a casa, e succede di nuovo, su scala ovviamente molto maggiore. Il suo velo fa più notizia della sua liberazione, quotidiani nazionali sbattono ‘l’ingrata’ in prima pagina, l’accusano di essere tornata ‘con la divisa del nemico’, accostano la foto del suo ritorno a vecchie immagini in minigonna titolandole ‘liberata?’. Se da sinistra la si difende comunque si tentenna, e le diagnosi improvvisate di ‘sindrome di Stoccolma’ passano di bocca in bocca, di post in post.

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Margherita nella moschea di Sayyda Ruqqaya fotografata da Rosanna, che quel giorno le prestò il velo

In fondo lo capisco. Ci sono passata. Se assumiamo come dogma che la condizione di ‘laicità’ sia quella che concede maggiori libertà a una donna, che tutte le religioni siano patriarcali e l’Islam la più patriarcale di tutte, quella di passare da ‘laica’ a ‘religiosa’, tanto più ‘musulmana’, non può che apparire come una scelta ‘folle’. E per spiegare una scelta che ci appare ‘folle’, il ‘lavaggio del cervello’ offre una spiegazione comoda: e se è comoda sempre, figurarsi dopo 18 mesi di prigionia.

Ma i percorsi di crescita e di liberazione – personali come collettivi – non sono tutti uguali, e dovremmo liberarci noi di questa arroganza tutta occidentale di ritenere il nostro sistema socio-culturale l’unico che sia davvero umano.

Guardatela meglio. Guardate come sorride, perché è l’unica cosa che possiamo fare. Non potete sapere cosa sia a rendere così luminoso quel sorriso, ma potete essere felici per lei, risparmiarvi i giudizi, e lasciarla stare. Se non capite, tacete e ascoltate, che se vorrà ce la racconterà lei la sua storia, quando vorrà. E se deciderà di tacere, potete ascoltare le storie di tante altre donne musulmane, che hanno tanto da dire e nessun bisogno di essere salvate.

 

* MARGHERITA PICCHI ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia delle donne e delle identità di genere presso l’Università Orientale di Napoli nel 2016, dove già aveva ottenuto nel 2011 la laurea specialistica in Scienze delle lingue, storia e cultura del Mediterraneo e dei paesi islamici. I suoi interessi di ricerca includono gli studi coranici e il pensiero  islamico contemporaneo, oltre che gli studi di genere e queer in contesti musulmani. Dal 2018 è assegnista di ricerca presso la Fondazione per le Scienze Religiose Giovanni XXIII di Bologna, dove conduce una ricerca sulla teologia islamica della liberazione in Sudafrica.

L’Islam: oggi come nove anni fa

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Moschea degli Omayyadi, Damasco 2010. Foto di Rosanna Sirignano

Le ore di luce lentamente facevano spazio a quelle di buio, l’aria era diventata più fresca e respirabile quel pomeriggio a Damasco. Acquistai un foulard di cotone nero da uno dei piccoli negozi del suq e mi diressi verso l’autobus. Per una strana coincidenza c’erano solo donne, tutte visibilmente musulmane. Persa nei pensieri che vagavano da un luogo all’altro della mente senza una precisa meta, mi ritrovai sola al capolinea dell’autobus, senza accorgermi di aver attraversato tutta la città. “Fine della corsa, scendere!” – e il conducente si voltò verso di me e sorridendo chiese: “Ajnabiye” “Straniera?”- “Sì, mi sono persa”. Chiamai Nura, che mi aspettava a casa sua per un tè da almeno un’ora e le spiegai la situazione. L’autobus successivo sarebbe partito dopo almeno mezz’ora e io mi trovavo in una zona lontana da casa sua. Le chiesi scusa, promettendole che le avrei fatto visita presto. A quel punto il conducente mi fece segno di passargli il telefono. Scambiò due chiacchiere con la mia amica, poi riattaccò e mi disse di stare tranquilla. Nonostante avesse terminato la sua giornata di lavoro, l’uomo tornò indietro e mi condusse in un punto della città dove mi stava aspettando Nura. Lo ringraziai immensamente e oggi gli sono ancora più grata per aver partecipato ad uno dei giorni più importanti della mia vita. Quel giorno a casa di Nura imparai i movimenti della preghiera islamica, imparai una pratica che la sera stessa divenne il mio linguaggio spirituale per i 9 anni successivi: l’Islam. Tornata a casa nel buio e il vuoto della mia camera siriana stesi a terra il tappeto leggero che mi aveva donato Nura, avvolsi la testa con il foulard nero comprato poche ore prima e cercai di ripetere la sequenza dei movimenti. Ne ricordavo bene solo uno: il sujud, la posizione in cui ci si piega con la fronte al pavimento e si diventa una piccola parte dell’immenso universo. Così, spontaneamente la shahada* attraversò la mia mente e uscì dalle mie labbra come un soffio. Il corpo rimase rigido e gli occhi faticarono a chiudersi per tutta la notte. Al mattino lavai via la pesantezza e il superfluo con acqua calda e mi preparai ad una nuova e faticosa ricerca. Giorno dopo giorno apprezzavo il silenzio e la pace delle prime ore dell’alba, lasciavo che i suoni del Corano vibrassero dentro di me per guarirmi fino al tramonto. I movimenti e le parole della preghiera diventavano sempre più naturali e fluidi e così cambiava il mio corpo, e con esso la mia mente e il mio spirito. Ai miei occhi di giovane viandante, le strade, le moschee, le chiese, i palazzi, le piazze, i bar di Damasco pregavano e glorificavano l’Universo, con gratitudine e gioia. Oggi celebro questo giorno, per ricordare che l’Islam è essenzialmente un modo di prendersi cura di se stessi e di connettersi con il divino. Il suo fulcro è la preghiera, in arabo salat, da compiere cinque volte al giorno, in armonia con la natura. Spesso noi musulmani ce ne dimentichiamo, la compiamo meccanicamente e frettolosamente, o ce ne allontaniamo. Oggi il ricordo del 12 novembre 2010 si trasforma in un augurio ai musulmani e alle musulmane di riscoprire il valore e la bellezza della tradizione spirituale che ci è stata trasmessa. Inoltre, al di là della fede e delle religione, auguro a tutti di trovare spazio ed energia per gustare ogni giorno della bellezza e del piacere di un momento di riconciliazione con noi stessi, la natura e il divino.

 

* Attestazione di fede in un unico Dio e nel suo Profeta Muhammad. È il primo pilastro dell’Islam.

Madre Siria, eri bella

Souad Mardam Bey
Dipinto dell’artista siriana Souad Mardam Bey

Petruro Irpino (Avellino). E’ una giornata molto calda, la spaziosa piazza bianca riflette i raggi del sole, tanto da costringermi a coprirmi gli occhi con una mano e a cercare un posto all’ombra. Da qualche tempo Petruro Irpino ospita famiglie di rifugiati tra cui siriani, che hanno cambiato la vita del paese e destato la curiosità di molti. Una signora mi saluta e mi dice: “Mi dispiace per quello che sta succedendo fra Siria e Turchia, anche se francamente ne so molto poco, quindi non saprei da che parte stare.” Filomena* sembra provare imbarazzo nel pronunciare quelle parole e io la rassicuro dicendole che nonostante gli anni di studio, anche io faccio fatica a comprendere fino in fondo la complessità di un conflitto che si perpetua ormai da 9 anni e che ha una storia ben più lunga alle spalle. Cerco di dare qualche spiegazione in più, pur consapevole che è limitata, insufficiente, parziale. Filomena ascolta con attenzione, visibilmente interessata a comprendere meglio il mondo da cui vengono i suoi vicini siriani, con cui ancora ha difficoltà a comunicare a causa della lingua. Lei forse non lo sa, ma in quel momento sta compiendo un atto rivoluzionario dal valore umano inestimabile.

La domanda è sempre la stessa: “Da che parte stare?” Non è facile rispondere: ogni affermazione sembra sbagliata, arrogante e ingiusta, imprigionata nella paura costante che possa essere usata per diffamarti, che possa danneggiare l’immagine dei siriani, che possa ferire o indignare qualcuno. Parole come “dalla parte dei civili”, “pace”, “umanità” sembrano banali e prive di senso. Succede soprattutto ai figli della Siria, quelli che ci sono nati, che lì sono andati a scuola, hanno lavorato, si sono sposati, hanno bevuto fiumi di tè e guardato infinite serie televisive sgranocchiando biscotti e noccioline. Succede a quelli che sono stati cresciuti da genitori siriani, quelli che ci trascorrevano le vacanze estive, quelli che non hanno mai potuto vedere la Siria, ma a cui i genitori hanno trasmesso la lingua e la cultura siriana. Succede a quelli  che hanno trascorso anni di studio e di lavoro lì, succede a quelli che hanno la Siria dentro per un motivo ignoto. La Siria è una madre generosa e accogliente che non fa differenza fra figli naturali e figli adottivi. Non è morta, quindi il dolore che si prova nel vederla torturata, distrutta, agonizzante non è assimilabile al lutto. E’ diverso, ti spezza in due, ti fa sgorgare lacrime pesanti e amare, che non sapevi fossero albergate in un luogo oscuro del tuo essere. Ti fa vivere un senso di inquietudine costante che a volte riesci ad arginare dimenticandola, ignorandola, ma tanto lei torna, perchè è così, una madre non puoi mai eliminarla dalla tua vita. Le parole dei figlie e delle figlie della Siria sono sempre intrise di emozioni contrastanti e così diventa faticoso esprimersi sulla situazione politica del paese, spiegarne l’intricata storia, far luce sulle diverse componenti della sua società. Le parole dei figli e figlie della Siria a volte sono ascoltate con sospetto, come se il coinvolgimento emotivo impedisse un’ analisi lucida e razionale. Per fortuna non la pensa così Filomena e chi, come lei, è ancora aperto al dialogo e all’ascolto autentico in un mondo dove comunicare pacificamente risulta a volte impossibile.

Ad ogni modo ci sono giorni in cui si ha la sensazione di essersi abituati a tutto questo, ma poi arriva qualcuno che ti chiede “com’era la Siria?” – “Kif kanat Surya?” e tu sei costretto a rispondere “Kanat helwe” – “era bella”. In queste due parole era/kanat si nascondono tutte le lacrime siriane, che io oggi ergo a bandiera dell’umanità che resiste e rivendico il pianto come atto politico consapevole, di chi sa bene da che parte stare.

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Dipinto dell’artista siriana Souad Mardam Bey

*Nome di fantasia.

Da Damasco a Caserta: la lingua araba accorcia le distanze

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Chiara Costanzo con alcuni degli studenti del corso di arabo

Sembra che io abbia incontrato la mia anima gemella! Giovane donna meridionale, come me, con un simile percorso di formazione e una grande passione per il mondo arabo! Lei è Chiara Costanzo, insegnante di lingue, fondatrice dell’Associazione Culturale Araboce*. La sua passione per l’arabo comincia diversi anni fa tra i banchi dell’università di Napoli “l’Orientale”. Durante il suo percorso di studio ha avuto la possibilità di studiare a Tunisi, al Cairo, ma i soggiorni più lunghi li ha trascorsi in Siria, di cui conserva preziosi ricordi.

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A Mar Musa nel 2006

È ritornata in Siria per l’ultima volta nel 2010 per pochi giorni. Nel 2008 ci aveva trascorso sette mesi per raccogliere materiale per la sua tesi di magistrale sul diritto di famiglia tra i curdi siriani. “Della Siria ricordo in particolare le persone, sempre calorose, gentili ed accoglienti! In Siria ho incontrato persone serene, molto aperte e curiose.” racconta con una punta di dolore. Ricorda poi di padre Paolo Dall’Oglio, che considera una delle persone più influenti della sua vita. “Sono stata a Mar Musa nel periodo pasquale, dove abbiamo celebrato con musulmani e cristiani. Lì ho capito il valore della Pasqua.”

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A Mar Musa nel 2006

Dopo la laurea Chiara ha seguito quello che sarebbe diventato suo marito a Gaziantep in Turchia, a circa 100 km da Aleppo, dove ha lavorato come insegnante di italiano. Rientrata in Italia, spinta da un forte desiderio di mettere a frutto la sua esperienza e le sue conoscenze nella città in cui è nata: Caserta. “Volevo mettere a disposizione della mia città le mie risorse e le mie competenze, pur sapendo che non sarebbe stato facile.” Inizialmente organizzava degli eventi molto semplici legati alla cultura araba, per poi fondare l’associazione culturale Araboce, che quest’anno inaugura la quinta edizione dei corsi di lingua araba per principianti. “La maggior parte dei miei studenti sono persone interessate alle culture in generale, sensibili alle questioni politiche e sociali. Inoltre ci sono diversi studenti universitari che necessitano di supporto per la preparazione degli esami.” Non mancano le critiche che per fortuna, riferisce Chiara, arrivano dalla minoranza: “Qualcuno mi ha detto, anziché insegnare italiano agli stranieri insegniamo l’arabo ai casertani, che assurdità!” In effetti, le chiedo in modo provocatorio: “Perché studiare l’arabo?” “Prima di tutto per abbattere i pregiudizi, la paura del diverso in generale, non solo l’arabo. A Caserta in particolare ci sono diverse comunità di persone provenienti dal Marocco, dall’Africa Sub Sahariana, dall’ex Unione Sovietica e dal Sud America. Purtroppo vivono ghettizzati e solo recentemente si vedono sforzi di reciproca conoscenza. Studiare la lingua araba accorcia dunque le distanze, aiuta le persone ad avvicinarsi ad una cultura che si conosce poco.”

 

*Per maggiori informazioni :

http://araboce.blogspot.com/

 

Dalla Campania alla Germania: primo tour di presentazioni

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Da poco tornata da Heidelberg, città che mi ha ospitato per quattro intensi anni, e che ora mi accoglie per presentare “La mia Siria” nell’ambito del Festival di Cultura Italiana organizzato dall’associazione Volare. Con me Nouruz, uno dei protagonisti del libro, che ha generosamente condiviso i suoi ricordi con noi. Dall’uscita del libro a gennaio è stato un susseguirsi di emozi

oni e incontri. Abbiamo debuttato ad Avellino il 17 febbraio, al Godot Art Bistrot di Luca Caserta, un luogo che per anni è stato la mia casa, un angolo prezioso della mia città natale. Ancora ad Avellino affiancata dal professor Carlo de Angelo e sostenuta dal gruppo Entreprise, abbiamo discusso di storia, di narrazioni, di Siria prima e dopo il 2011. Un grande onore ed emozione incontrare i ragazzi dell’Orientale di Napoli, università dalla quale sono partita per il mio viaggio oltre i confini. A marzo io e l’attivista Milena Annunziata, siamo stati ospiti dell’Officina Gomitoli di Napoli per ricordare della rivoluzione, quella dei siriani pacificamente scesi in piazza nel 2011. Ad aprile di nuovo ad Avellino abbiamo raccontato La mia Siria ai più piccoli, all’Angolo delle Storie di Consiglia Aquino. Grande privilegio ed emozione incontrare ragazzi e ragazze curiosi e vivi nel breve tour di presentazioni per le scuole ad Avellino e Ariano Irpino. Ancora in Campania, siamo stati ospiti del Kinetta Spazio Labus di Chiara Rigione. Sempre al mio fianco loro: gli amici dell’associazione culturale Vernicefresca Teatro, che hanno accompagnato quasi tutte le presentazioni sopra elencate. Vernicefresca è molto di più che una compagnia teatrale e i nostri destini sono legati da tante trame intrecciate … ve lo racconterò strada facendo. Da ora il blog e la pagina Facebook prendono una bella pausa estiva, per lavorare a nuove idee, sorprese e per accompagnarvi meglio nei prossimi viaggi!

 

 

 

“Il silenzio del mare” romanzo di Asmae Dachan

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Ha sicuramente trascorso molto tempo della sua esistenza a guardare il mare la giornalista italo-siriana Asmae Dachan. Guardando il mare della sua Ancona, ha desiderato di attraversarlo per giungere in Siria, paese dei suoi genitori ma che non aveva mai potuto visitare fino a qualche tempo fa. Guardando il mare ha sognato un mondo migliore, ha trascritto le sue interviste, inventato racconti, volato con la fantasia altrove, ha pianto e ha riso. Mi piace immaginare che anche questo romanzo sia nato non lontano dal mare, un mare che Asmae conosce così bene tanto da saperne ascoltare il silenzio. Un romanzo scorrevole, che attraverso i personaggi racconta diversi aspetti della Siria dimenticata, oltraggiata da ormai sette anni, una tragedia umana dalle proporzioni inconcepibili alla mente di semplici esseri umani. Di questo ci parla Asmae, di persone, di umanità e soprattutto di ciò che significa la Siria, quando ti entra nel cuore, e di che natura è il dolore che ogni giorno accompagna chi ha deciso di guardare oltre l’orizzonte, sull’altra sponda del Mediterraneo. Vite distrutte, smarrite, senso di impotenza, ma anche tanta speranza in un romanzo scorrevole e semplice da seguire che con delicatezza tocca corde sensibili e fa male il giusto per scuotere l’anima. Trapela tanto anche dell’autrice, instancabile giornalista che in questi sette lunghi anni ha raccontato dei siriani e delle siriane che con coraggio hanno scelto la strada della pace per rivendicare diritti, per costruire una Siria libera e giusta. Ha reso disponibili queste storie ai concittadini italiani principalmente sul blog Diario di Siria e poi su altri mezzi di informazione come Panorama. Questa volta ci racconta di Siria attraverso un romanzo, con un linguaggio diverso, quello dell’arte, con cui svela e condivide con il lettore il suo legame intimo con la Siria, ma anche con l’Italia. Questo libro crea così un ponte: tra i personaggi siriani e quelli italiani sembra non esserci una così netta differenza, perché è di un mondo senza confini che ci parla Asmae. “Il silenzio del mare” (Castelvecchi Editore), rappresenta dunque un fondamentale contributo per costruire un pezzo di solidarietà con il popolo siriano e con la Siria, che non sembra poi così lontana e che oggi ci offre la possibilità di riflettere a fondo e di guardare alla nostra quotidianità in modo nuovo.

Foto: Fotogramma del trailer de “Il silenzio del mare” – Castelvecchi Editore)

Trailer qui: https://www.youtube.com/watch?v=W43UNREg-YM

Info sul libro qui: http://www.castelvecchieditore.com/prodotto/asmae-dachan-il-silenzio-del-mare/

Buongiorno Siria!

agony Khaldoun Azzam
E così un bel giorno la bacheca di Facebook si riempie di hashtag per la Siria e di foto di persone che si tappano la bocca, per protesta contro gli attacchi chimici di un tale Hassad o Hassan, ah no…Assad, in una terra lontana chiamata Siria, ma che potrebbe essere la Libia, l’Iraq, che importa? È uguale. Uno di quei paesi là, in Medio Oriente, o in Africa, dove la gente soffre, ma non tanto, perché è abituata. Ma siamo sicuri che ci dispiace per la gente? Sì, soprattutto se sono bambini innocenti, che nulla hanno a che fare con questo disastro, che ci inteneriscono, come le foto di cuccioli di cagnolini e gattini, uguale. Peccato per loro che sono nati nella parte del mondo sbagliata! Noi invece sì che siamo fortunati, privilegiati, possiamo dormire sonni tranquilli, siamo in pace e ce lo siamo meritato, perché non siamo barbari come quelli lì… ma chi sono quelli? Ah sì i siriani, la Siria….. e dove si trova esattamente? Fouad Roueiha, giornalista italo-siriano, dalla sua pagina Huna Souria il 12 aprile scrive in un “post lungo, e farcito di turpiloquio, uno sfogo”*: “Ma voi, voi che state sempre zitti e ve ne fottete, con che faccia ora state lì a commentare con aria grave il “rischio” di una guerra?… I siriani muoiono col gas, poverini…. ma […] le armi chimiche hanno ucciso meno dell’1 per 1000 delle vittime civili, perché morire sotto un barile bomba o un missile russo dovrebbe essere meno grave, generare meno empatia? Perché un assedio mortale durato anni ed i bambini che muoiono di fame davanti agli occhi del mondo non meritano indignazione, mentre un attacco chimico o 4 […] cruiser americani mettono in allarme tutti? Perché decine di migliaia di donne e uomini morti di tortura, lentamente, umiliat* e stuprat* non ci interessano mentre quelli morti in pochi minuti per il sarin si`? Perché centinaia di attacchi col gas cloro non valgono un solo attacco col sarin? Perché una bomba di Erdogan sui curdi fa più rumore di 6 anni di bombardamenti di Assad su civili arabi?” La triste verità è che la maggior parte delle persone che ha dedicato un post o un commento sulla Siria in questi giorni non saprebbe come rispondere ad alcuna di queste domande. Peggio ancora, non sa neanche lontanamente di cosa parla Fouad e si atteggia ad esperta di Medio Oriente, temendo “un altro Iraq o un’altra Libia”, mostrando una spaventosa superficialità ignorando che il mondo è molto più complesso. Fouad è solo una delle persone che in questi anni ha cercato di far conoscere la situazione del suo paese in modo onesto e ha lavorato per costruire una solidarietà con il popolo siriano. È dunque apprezzabile che si moltiplichino post e foto dedicati alla Siria, purché siano delle azioni vere, sincere. Allora chiediamoci: perché lo sto scrivendo? Perché tanto fanno tutti così? L’ho deciso io o la tv? M’importa davvero dei siriani? Ho gli strumenti necessari per effettuare analisi e schierarmi da una parte o dall’altra? Insomma, la solidarietà e l’appoggio per una causa si costruiscono giorno per giorno e si comincia con la conoscenza. Altrimenti è tutto maledettamente finto!
Immagine: “Agony” opera di Kaldun, fonte: Art2defy

Siria: che possiamo fare noi?

tamman ayyam                                                            Opera di Tammam Azzam

Ricordate Rosa Parks? La donna afro-americana che rifiutò di cedere il posto dell’autobus ad un bianco. Quel piccolo gesto, insieme ad altri piccoli gesti, portò alla fine della segregazione razziale negli Stati Uniti. Tutto comincia sempre con un piccolo passo!

Ma perché a noi italiani dovrebbe importare della Siria? È vero non siamo in Siria, non siamo sotto assedio, ma viviamo nel presente. Con i siriani condividiamo la contemporaneità, viviamo nello stesso tempo. Per loro e per noi oggi è lo stesso giorno sul calendario. Con la Siria e con il resto dell’umanità condividiamo il passato e il futuro. Un giorno quello che sta accadendo oggi sotto i nostri occhi sarà storia, come è accaduto per altri terribili genocidi del passato, si organizzeranno conferenze, ci saranno film, musei dedicati e noi staremo a guardare addolorati, commossi, con sollievo sussurreremo “per fortuna è passato, non accadrà mai più”. Perché invece non vivere qui ed ora? Così che un giorno potremmo dire: c’ero, non sono stato in silenzio, ve lo racconto, perché non accada più! Oggi la Siria ci invita ad essere protagonisti della storia!

Non sottovalutate l’importanza  e il significato di piccoli gesti di solidarietà per i civili come quelli della Ghouta sotto assedio da cinque anni, sotto bombardamenti, anche chimici senza sosta. Apprezzeranno molto. È un modo semplice per dire che a noi importa e che non ci siamo dimenticati di loro. Ma non pensate a loro, quando deciderete di compiere il vostro passo verso la Siria, fatelo principalmente per voi stessi! Fatelo per superare l’orribile sensazione di paralisi e impotenza davanti alla crudeltà di questo massacro! Fatelo per non essere inghiottiti dal cinismo e la noncuranza! Fatelo per non diventare assuefatti al dolore e alla violenza! Fatelo per essere quella parte di società che pratica una cultura di pace! Fatelo per tenere viva la vostra umanità!

Grazie a “Le voci della libertà” per aver ispirato questo articolo, tratto anche da numerosi appelli di cittadini siriani. Il blog contiene diverse traduzioni di articoli sulla situazione siriana. Link qui: https://levocidellaliberta.com/