Di Linda Covato
Ma-smuki? /Ismi Linda. /Ah, Linda! Linda Ism 3arabi. Enti sadika. Enti mitla-na.
(come ti chiami? /Linda/Ah, Linda! Linda è un nome arabo. Sei un’amica, sei come noi!)
Un giorno sul taxi, tornando all’università: Enti min…./Min Italiya./Enti italiyya! al- italiyyin ka-l suriyyin!… ma b-3arif as-sabab./Mumkin li-l bahr mutawassit/Ee!!! kullu-na min al-bahr mutawassit!!!
(Vieni da…/dall’italia./Sei italiana! Italiani e siriani sono uguali….anche se non saprei il perché /forse per il Mediterraneo/Sì!!! tutti noi veniamo dal Mediterraneo!)
La mia Siria è bayt qalbi. O Galbi. O Kalbi. A seconda di dove vado. La mia casa del cuore.
Qualcosa che è capace di dare vita, anche solo con il ricordo di un odore, un sapore, una musica, un immagine, a un sorriso, un racconto, una lacrima.
Vinsi una borsa di studio nel 2008 per frequentare un semestre ad Aleppo, tramite la facoltà di Studi Orientali della Sapienza di Roma. Sarebbe stato un viaggio per me fondamentale. Ha gettato le basi della Linda che sono oggi.
La mia Siria è una terra di contraddizioni. Di corruzione nascosta in piena vista. Dove due università si accordano per una borsa di studio ma quando arriviamo ad Aleppo, accolte (eravamo in due) da due squisiti professori del dipartimento di lingue straniere dell’università, raggiungiamo la Dar ad-diyafa (casa dell’ospitalità, una sorta di studentato) dove è previsto che alloggiamo. E ops nessuno sa che dovevamo arrivare. Però, magia, accordandoci per un affictto mensile più alto, ecco comparire due stanze tutte per noi.
È la stessa Siria dove per avere il visto di uscita, passi ore al ministero degli affari esteri, passando da un petit général a un grand géneral, di stanza in stanza, di piano in piano, come in un quadro di Escher. Ore per avere due timbri, e sentirsi porre per decine di volte le stesse domande. E alla fine notare che tu e la tua compagna di università, arrivate in Siria lo stesso identico giorno, con lo stesso volo, avete due visti di uscita diversi.
Poi, però, pensi che in fondo in Italia, non è così diverso a volta. Le dinamiche sono le stesse, solo, magari, più discrete, più politically correct.
La mia Siria è Dar ad-diyafa, oggi rasa al suolo, all’università di Aleppo, dove ho conosciuto amici meravigliosi, con i quali sono ancora in contatto, dal 2008.
La mia Siria è l’Alto Istituto di Lingue, dove ho veramente imparato l’arabo, arrivando con solo qualche nozione di grammatica, dal nostro libro universitario, che è un libro del 1932 e spiega l’arabo come fosse una lingua morta. Ma le professoresse non hanno perso la fiducia in me, e sono arrivata a un parlato e uno scritto che mi ha stupito.
La mia Siria è Seif ad-Dawla, quartiere di Aleppo, oggi distrutto dove facevamo maxi cene con gli amici sudanesi.
La mia Siria è senza dubbio il cibo: il foul di Jdeide (si fanno scommesse degne di man versus food, su quante ciotole si riescono a mangiare), i succhi di frutta naturali, essere invitati a pranzo dalla prof e avere davanti una distesa del migliore cibo siriano, è passeggiare per il suq di Aleppo e fare shopping mentre i negozianti ti offrono tazze di te, o meglio ancora zuhrat.
Poi c’è l’ospitalità. Così grande che all’inizio non la credevo vera. Pensavo ci fosse qualcosa sotto. Mi sbagliavo. In Siria puoi entrare in un khan per comprare stoffa ed essere invitato a cena col tuo gruppo di amici, con kebab e musica. Puoi partire con i tuoi amici per cinque giorni alla scoperta dei villaggi cristiani intorno a Damasco ed essere invitati a dormire in casa di una famiglia.
C’è la tensione degli estremi. Potevi essere arrestato perché viaggiavi con un camper con antenna satellitare.
Allo stesso tempo, pur essendo un paese a maggioranza musulmana, le festività cristiane erano rispettate. Così in primavera ogni tanto scoprivo che non ci sarebbe stata lezione, perché era Pasqua. Ma come, non era Pasqua il mese scorso? Quella era la Pasqua siriaca. Questa è la Pasqua cattolica. Poi ci sarà quella ortodossa.
C’era la possibilità di trasformare ogni occasione in una festa, in un momento di condivisione. Allo stesso tempo, c’era censura dell’informazione. Quando arrivai a febbraio 2008, una decina di giorni dopo il mio arrivo, mi chiamò mia madre preoccupata “tutto bene?” “sì, perché?” “c’è stata una bomba a Damasco!” prendo il telecomando della sala comune, passo in rassegna tutti i canali e nulla. Questa notizia non apparirà mai.
Verso fine aprile con i miei compagni di corso e gli amici sudanesi organizziamo una gita a Qala’at Al-Jabr di Assad. Gli amici sudanesi ci dicono che non sarebbero potuti venire, perché c’era una festività importante in quei giorni e non potevano mancare.
Non era vero. O meglio la festività c’era. Ma loro non potevano dire in pubblico che sarebbero venuti in gita con noi, invece di rimanere in casa. Gli studenti sudanesi non erano visti di buon occhio, e ogni tanto i loro movimenti finivano nell’occhio del mirino. La nostra gita insieme l’abbiamo fatta. Uno dei luoghi più magici mai visti.
La mia Siria è il tempo scandito dal mu’ezzin e dalle preghiere. É il rispetto del tempo per pregare.
È anche vivere le giornate come una barzelletta. Come quando andammo a Deir iz-zor con due amici, una ragazza franco-algerina, aveva doppio passaporto, e un ragazzo americano, anche lui doppio passaporto, americano e saudita. Loro entrambi musulmani. Quando arriviamo in stazione, tutti vengono fatti scendere dal pullman, tranne noi tre. E così come una barzelletta “l’americano e la francese devono andare al comando di polizia”. “E l’italiana?” “Vieni anche tu, dai”. E così ci ritroviamo a chiacchierare con tre poliziotti divertiti dal fatto che fossimo un americano, una francese e un’italiana, ma tutti avessimo nomi arabi.
Per me la Siria è meravigliarmi. La meraviglia del deserto dispiegato sotto Deir Mar-Mousa, per assistere alla messa di Pasqua con Padre Paolo Dall’Oglio e poi partecipare alle danze e ai festeggiamenti della Pasqua e pensare, che è così che dovrebbe essere la Pasqua ovunque, che dalle nostre parti, non ci abbiamo capito granché, forse.
La Meraviglia di Qala’at Salah-ed-din, e di Qala’at al-Jabr, del gelido e cristallino lago di Assad.
La Siria ti entra nel cuore, e nella testa, per restarci, al punto che ogni immagine di guerra, ogni notizia di spari e bombe, arriva dritta al cuore e affonda gli artigli.
*Linda Covato ha generosamente donato questo suo ricordo a La mia Siria. L’articolo è pubblicato oggi 15 marzo 2021 a 10 anni dall’inizio della rivoluzione siriana. Onore alle vitttime vive o morte di questa immensa tragedia umana. Onore ad ogni lacrima versata per questo dolore senza fine. Onore e gratitudine all’umanità che resiste sempre e comunque.