L’Islam ha bisogno del femminismo?

Lady Oscar, una donna cresciuta da suo padre come un maschio, era il mio personaggio animato preferito da bambina. Con lei sono cresciuta nel bene e nel male attraversando la Francia del diciottesimo secolo prossima alla Rivoluzione francese.  E’ una serie che ho visto in diverse fasi della mia vita e che ho apprezzato nella sua versione originale: il manga di Riyoko Ikeda, un’opera d’arte, un capolavoro che occupa quasi il posto di un’enciclopedia tra i libri sparsi nel mio salotto.  Nel racconto originale Oscar accetta ben volentieri il destino cucito per lei dal padre, attendendo con ansia il giorno della presa di servizio come guardia reale. Con il passare degli anni suo padre si accorge di aver spinto la figlia verso situazioni molto pericolose, e di aver probabilmente commesso un errore ad averla educata in quel modo. In un cruciale dialogo fra i due Oscar chiede a suo padre:

– “Padre, rispondetemi! Se mi aveste cresciuto come una normale fanciulla , mi avreste dato in sposa contro la mia volontà, una volta che avessi compiuto i quindici anni, come le mie sorelle? […] Mi avreste insegnato a suonare elegantemente il clavicembalo, a cantare le arie? Avrei partecipato a ricevimenti ogni notte, sotto il peso di vesti fruscianti, tra risate e chiacchiericci? […] Avrei sfoggiato sete e velluti, nei posticci, fragranze alla rosa, scatole di belletti a motivi arabescati, ciprie soffocanti?! Rispondetemi!

– Sì, è proprio così, è questo ciò che sarebbe accaduto in quel caso.

– Allora vi ringrazio padre…Vi ringrazio di avermi concesso di vivere in questo modo. Pur essendo donna ho avuto modo di osservare il mondo, di vivere come una persona, di lottare per farmi strada tra la folli adegli esseri umani.”

Ikeda, Riyoko 1972-73 (ed. italiana 2020), Le rose di Versailles, vol. 4, pp. 81-84.

Oscar François De Jarjayes si accorge di vivere in un sistema che imprigiona uomini e donne in comportamenti ben precisi, che spesso diventano gabbie asfissianti. Si rende conto che la parte maschile del mondo gode di privilegi sconosciuti alla parte femminile, e sceglie di continuare ad assolvere il suo dovere e di seguire le sue inclinazioni.  È quello che accade a molte donne quando aprono e gli occhi e scoprono di essere state i burattini dei loro padri, i giocattoli dei loro mariti, le prede di uomini voraci, le vittime di giochi potere che le hanno asservite e ridotte ad oggetto. Un passo avanti lo si muove anche quando si guarda un po’ più in là nel mondo dei maschi e si vedono altrettante persone in catene, costrette a comportarsi come conviene, come è giusto che sia, senza farsi troppe domande. E ancora si vedono donne che accettano e anzi collaborano ai continui abusi di potere a cui sono sottoposte, per comodità, per incoscienza, per mancanza di mezzi per trasformarsi.  Il principio del cosiddetto ‘femminismo’ si nasconde proprio tra le pieghe di un’esistenza ai margini, di diritti negati, di bocche chiuse, violenze e soprusi. Lo spettro del patriarcato, un sistema di potere basato su una visione gerarchica delle relazioni, avvelena i corpi e li costringe a muoversi contro la loro volontà. Dimenticando per un attimo il genere maschile e femminile, si può affermare che tutte le volte in cui cede al desiderio di sopraffare l’altro, di piegarlo alla propria volontà, di approfittare dei privilegi per nutrire il proprio egoismo, si sta cedendo alla logica che sta alla base del patriarcato, di cui le femministe cercano di disfarsi. In diverse parti del mondo, con svariate modalità da secoli le donne lottano per affermare i propri diritti, per assicurarsi dignità, spazio, vita e respiro. Cercano di riaffermare se stesse per nutrire le relazioni di giustizia e uguaglianza, per garantire un’esistenza migliore. Tra queste ci sono anche le femministe islamiche o femministe musulmane: i due termini sono usati a volte in modo intercambiabile, a volte per sottolineare delle differenze di metodo e di visione. Ma può l’Islam essere compatibile con il femminismo? Può l’Islam essere foriero di principi di uguaglianza di genere? Si possono interpretare le fonti islamiche secondo un’ottica di genere? Se sì, chi può farlo? Le domande sono innumerevoli, la mia invece qui è una sola: l’Islam ha bisogno del femminismo?Per tentare di rispondere è necessario condividere una definizione di Islam.

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L’Islam è tante cose insieme, ma soprattutto e prima di ogni cosa l’Islam è una fede. Nelle parole della grande studiosa Eva Vitray-Meyerovitch alla domanda

“si potrebbe rispondere con una parola sola: la preghiera, purché la si intenda in quanto designa, al di là degli atti cultuali, l’impegno dell’uomo nella sua totalità. Ed è proprio questo il significato del termine islām, che deriva dal verbo aslama: “consegnarsi, abbandonarsi (a Dio).”

Vitray, Eva Meyetrovitch 2008. La preghiera islamica, p. 8.

Da questo abbandono, o movimento del cuore che si lascia andare al mistero, derivano una serie di pratiche che hanno lo scopo di mantenere la fede viva e di aumentare la consapevolezza della presenza di Dio. L’islam per esistere ha bisogno di essere umani che lo incarnano, che lo tramutano in esperienza per darne testimonianza. Da islamologa e musulmana ho il privilegio di unire nella mia persona diversi aspetti dell’Islam che è nel mio vissuto un percorso spirituale che cambia lo sguardo e affina le facoltà percettive dell’individuo, che riesce a penetrare la realtà intorno a sé in modo sempre più profondo. L’Islam è una strada verso la consapevolezza di sé e del mondo, è la cornice entro la quale io e tanti altri compagni di fede, hanno raggiunto la maturità. Attraverso i rituali islamici si sviluppa una maggiore sensibilità verso la sofferenza che ci circonda,  si impara a guardare l’altro con gli occhi della misericordia. La ricerca della giustizia e dell’armonia occupano tutto il tempo, si prega per se stessi e per gli altri, si desidera il bene per tutte le creature, si tende ad amare l’altro incondizionatamente, lottando ogni giorno per migliorarsi e superare gli ostacoli posti dalle numerose debolezze ed emozioni distruttive. Il mio vissuto da musulmana, come quello di tutti gli altri, si intreccia naturalmente con altre sfere dell’esistenza, ma soprattutto si incrocia con altre traiettorie biografiche. Le idee rivoluzionarie cominciano a farsi spazio nella mente di Lady Oscar solo quando incontra i poveri per le strade di Parigi, quando si rende conto della profonda ingiustizia e sofferenza in cui era immersa. Lentamente cambia la sua visione fino a spingerla  all’azione: abbandonando le fila delle guardie reali e unendosi all’esercito francese, che in seguito assalterà la Bastiglia in quel memorabile 14 luglio, Oscar si assume la piena responsabilità dell’esistenza, interagisce con la realtà, scegliendo consapevolmente ciò che è giusto. Analogamente quando io stessa ho incontrato la sofferenza di diverse donne ho iniziato a riflettere anche sulla mia, e quando ho ascoltato le testimonianze di persone buttate con la forza fuori di casa per aver amato una persona dello stesso sesso, ho compreso che oggi il femminismo non riguarda solo le donne, ma si estende a tutte le persone emarginate, disprezzate e declassate. Oggi si parla sempre più di femminismo intersezionale, perché si è ormai coscienti della realtà della dolorosa realtà dei fatti: le esperienze di discriminazione, disprezzo e marginalizzazione sociale sono il risultato di una serie di fattori che si intrecciano. Essere donna, lesbica, musulmana e nera ad esempio comporta una serie di complicazioni che si concretizzano in diversi tipi di fobie. E così si affaccia un’altra importante domanda: riesce l’Islam a rispondere alle richieste della comunità LGBTQIA+? In altri termini considerare peccato ogni comportamento sessuale al di fuori del matrimonio e al di fuori del paradigma che chiamiamo etero, mi impedisce di accogliere, ascoltare, accettare e amare? No, perché sono musulmana, e ogni giorno recito diverse volte parti di un Libro che all’inizio di ogni capitolo, chiamato sūra, pone un preciso imperativo, quello della misericordia assoluta.

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Ogni capitolo del Corano inizia infatti con la formula “nel nome di Dio, il Clemente e il Misericordioso” che funge da chiave di lettura e da condizione fondamentale per accostarsi alla comprensione del testo. I movimenti della preghiera canonica  compiuta cinque volte giorno prevedono una prostrazione che rimpicciolisce il corpo, e ci fa sentire minuscoli. In questa posizione chiamata suǧūd, ci si allena all’umiltà: come si piega il corpo e così si piega il cuore, che continua a non capire e a non trovare tutte le risposte di fronte alla Maestà divina. L’umiltà è messa all’opera quando si resiste al tentativo di giudicare chi è altro da me, il mio prossimo, colui a cui Dio ha dato una vita diversa dalla mia, con circostanze, persone, esperienze che io non conosco e poco posso capire. Credere nell’Assoluto, camminare nella via dell’Islam, significa essere saldi e radicati nel proprio cammino, sostenendo e aiutando gli altri laddove possibile. Significa vivere in un costante “non lo so, non capisco, ma vado avanti”.  È un’esperienza complessa, soggettiva, che si incarna in miriadi di modi differenti quanti sono i musulmani nel mondo, eppure sa essere anche universale e comprensibile in un batter d’occhio a chi sembra così diverso da noi. E’ un cammino che comporta obblighi e divieti, che possono sembrare irrazionali, limitanti se non sono illuminati dalla saggezza e soprattutto dalla fede. L’Islam può essere tuttavia anche molto pericoloso, dalla mia esperienza e osservazione lo è solo in un caso: quando la pratica esteriore non è mossa da un movimento del cuore, quando lo si svuota della sua dimensione spirituale, quando lo si guarda solo come un fenomeno sociale e culturale, quando tutto è  ridotto alla materialità e perde la sua vera e pura funzione, la connessione con Dio e la Pace Eterna. Le persone musulmane come tutti su questo pianeta affrontano le sfide del quotidiano e le domandi pressanti della contemporaneità. Ognuno cerca risposte in diversi luoghi, a volte le trova e a volte no. Dal mio punto di vista, se l’Islam, ma in particolare il Libro Sacro su cui si fonda smettesse di fornire risposte soddisfacenti alle richieste del tempo e dello spazio in cui sono immersa, non avrebbe senso continuare nello sforzo di restare salda in questa tradizione. Oltre allo studio, alle svariate interpretazioni dei testi e della tradizione sapienziale, esiste qualcosa che è alla portata di tutti: è il cuore, che sempre più si nutre di misericordia e umiltà.

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Nel suo libro sulla sessualità nell’Islam Abdelwahab Bouhdiba ci ricorda che in un’ottica islamica:

“Tutto è binario e in questo sta il segno del miracolo divino. La dicotomia esiste per volontà divina e la sessualità, che è il mettere in relazione l’uomo e la donna, non è un caso particolare di questa volontà divina assolutamente universale.” […] “la bipolarità del mondo si fonda sulla rigorosa separazione di due “ordini”,  il femminile e il maschile. L’unità del mondo non può che compiersi, dunque, nell’armonia dei sessi realizzata con cognizione di causa.”

Bouhdiba, Abdelwahab 2005. La sessualità nell’Islam, pp. 7, 33.

Da queste brevi citazioni, si comprende che la questione delle regole sulla sessualità, va ben oltre il controllo sociale dei corpi e non può essere facilmente liquidato in un’interpretazione patriarcale dei sessi. L’atto sessuale come ogni atto del musulmano e della musulmana fa parte dell’adorazione a Dio, in una visione per cui nulla ci appartiene veramente, ma ci è data in prestito. Dunque, l’essere umano non può disporre della creazione a suo piacimento, ma solo secondo limiti stabiliti dal Creatore. La vita dei credenti è scandita da una disciplina del corpo, della mente e dell’anima, che permette alle energie di non essere dissipate e al cuore di avvertire una sempre maggiore presenza di Dio. Queste regole sono state purtroppo fraintese e usate per scopi diversi da quello originale, nelle mani di persone stolte, hanno finito per creare oppressione e sofferenza. Per questa ragione, mai come oggi è necessaria una riforma spirituale delle religioni, affinché esse ritornino al servizio dell’essere umano per avvicinarlo all’umanità più completa. Il cammino spirituale è assolutamente personale, e ogni esperienza va rispettata in nome della Misericordia e dell’umiltà. Le porte di una moschea abitata da persone che incarnano l’incipit di ogni sūra del Corano, di cui il cuore suona come le parole arabe “bismillāh ar-raḥmān  ar-raḥīm” (nel nome di Dio il Clemente e il Misericordioso) saranno sempre aperte a tutti. Accoglieranno persone di ogni tipo perché tutti agli occhi di Dio hanno diritto alla fede, alla conoscenza e alla crescita spirituale.

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