
La shahādah: primo dei cinque pilastri dell’Islam
Esattamente dieci anni fa, il 12 novembre 2010 muovevo il primo passo decisivo nel cammino spirituale dell’Islam. Avevo imparato a pregare da due giovanissime donne, che avevano sentito e visto oltre l’apparenza. Il mio corpo desiderava compiere quei movimenti: piegarlo e ripiegarlo in quel modo al cospetto dell’Altissimo mi sembrava naturale. Così, durante una prosternazione la professione di fede raggiunse le mie labbra e segnò l’inizio del mio Islam, che il giorno dopo convalidai con la la shahādah (testimonianza di fede). La testimonianza del credo nell’Unicità di Dio e nel suo Profeta Muhammad, ultimo dei Messaggeri, è una formula da recitare ad alta voce dinanzi a dei testimoni. Non è necessaria alcuna cerimonia ed è il primo pilastro dell’Islam. I cosiddetti pilastri dell’Islam sono cinque fondamentali pratiche che sostengono i credenti e le credenti nel cammino islamico, rafforzando di giorno in giorno la fede e guidandoli nella sempre maggiore ricerca di conoscenza. La testimonianza di fede è condizione basilare e necessaria, affinché il resto delle pratiche, preghiera, digiuno nel mese di Ramadan, pagamento della zakāt e pellegrinaggio al la Mecca, non siano vuote di significato e di vita spirituale. Il pagamento della zakāt e il pellegrinaggio, a differenza dei primi tre pilastri, dal punto di vista giuridico, non sono obblighi personali, ma è sufficiente che solo una parte della comunità, quelli che hanno le condizioni e i mezzi per attuarli, li compiano. Anche il digiuno del mese di Ramadan non è compiuto dalle persone che hanno disturbi di salute o malattie, dalle donne in gravidanza, da quelle che allattano e durante il ciclo mestruale. Costoro hanno altri modi per riscattare il mancato adempimento dell’obbligo. Anche la preghiera rituale è oggetto di limitazioni: le donne durante il periodo mestruale e nei quaranta giorni dopo il parto sono infatti esenti dall’adempiere la ṣalāt (da non confondere con la preghiera spontanea o invocazione detta du‘ā’).
La shahādah resta dunque l’unico pilastro dell’Islam che accompagna la vita dei musulmani in ogni circostanza. Quest’ultima non è la semplice adesione del cuore all’Islam, ma è l’atto legale di pronunciare la formula “ašhadu an lā ilāha illā Allāh – wa ašhadu anna Muḥammadan rasūl Allāh.” Si può affermare che tutta la teologia islamica nasce dall’ampliamento e da una precisazione legale di questa formula. In sintesi: cosa comporta dal punto di vista pratico credere in lā ilāha illā Allāh wa Muḥammad rasūl Allāh?
Il peso dell’Islam tra presente e passato
La risposta a questa domanda si nasconde tra le pieghe dell’esistenza e dell’esperienza quotidiana, laddove montagne di libri non possono giungere. Alla conoscenza trasmessa oralmente dai maestri e acquisita attraverso la lettura di testi, bisogna integrare gli insegnamenti e le riflessioni scaturiti dalla vita vissuta tesa alla pienezza della fede. Se mi chiedessero che cos’è l’Islam per te oggi, dopo dieci anni di pratica, risponderei senza dubbio “un grande peso da portare, che costa una gran fatica”. Procedere lungo un cammino spirituale dona intensità e significato alla vita, ci regala attimi di gioia profonda, ma ci pone anche ogni giorno di fronte a tremende domande. Procedere lungo la via dell’Islam è un’esperienza talvolta anche dolorosa, a causa della narrazione dominante che non descrive mai l’aspetto culturale, artistico e spirituale di questa religione. Dopo dieci anni di Islam, sia come modo di vivere sia come oggetto dei miei studi, sento il peso di una conoscenza che rappresenta solo l’alfabeto di un linguaggio spirituale e di un sistema culturale, che non si approfondirà mai abbastanza. La stanchezza è legata anche all’impazienza, allo scoraggiamento: sembra che gli sforzi siano stati vani, eppure lì da qualche parte, ad uno sguardo più attento, si scorgono i segni di un cambiamento profondo.

Ripensando a quel preciso momento sepolto nelle memorie fragili che profumano di gelsomini di Damasco, scopro che la shahada come impercettibile vibrazione del cuore, era lì da molto tempo prima. Una volta una donna, con cui frequentavo le lezioni di recitazione del Corano, mi chiese: “da quanto tempo sei musulmana?” e io le risposi “da un mese.”. Lei non contenta della risposta mi chiese ancora “quando hai scoperto l’Islam?” e io le risposi “quattro anni fa” e lei dedusse “beh allora sei musulmana da quattro anni”. Se da un punto di vista esteriore e legale, come ho spiegato, questa affermazione poteva risultare errata, in realtà, da un punto di vista profondo, quella donna aveva ragione. Se pensiamo alla prima parte della shahada, che attesta la fede monoteista, le origini di quella vibrazione potevano risalire addirittura alla mia infanzia. Il Corano, che a Damasco iniziai a recitare ad alta voce e che da anni accompagna più volte al giorno le mie attività, entrò dentro di me come un potente suono. Il suono di una sillaba pronunciata con cura e con il massimo sforzo, apre spazi di libertà dentro di me, scioglie nodi, purifica l’anima e imprime un orientamento al cuore. I movimenti della preghiera, durante la quale si recitano pezzi del Corano, fanno del suono esperienza e dal cuore quel movimento invade il corpo e la mente trasforma, giorno dopo giorno, le fibre del tuo essere profondo.
Il suono che muove il cuore
Spesso l’Islam è stato definito un’ ortoprassi, ossia un sistema religioso che ha al centro la retta azione, in cui l’obbligatorietà di comportamenti sono centrali e inglobanti. Secondo questa visione si potrebbe giungere alla conclusione che avere il giusto comportamento sia più importante dell’avere una giusta dottrina: la giurisprudenza è dunque sovrana rispetto al pensiero teologico, filosofico e prende il sopravvento sul vissuto spirituale. La questione andrebbe analizzata e sviscerata nella sua complessità, attraverso uno studio metodico. Qui mi limiterò ad offrire uno spunto di riflessione sulla necessità di equilibrio tra le varie sfere che compongono l’Islam, che essendo religione rispettosa della materialità dell’uomo, tiene conto della sua multidimensionalità. Eseguire una serie di gesti, aderire a precise regole sull’alimentazione, sul vestiario, la sessualità e rapporti con gli altri, solo esteriormente comporta tuttavia un pericolo. Si rischia, infatti, di creare una struttura rigida dentro e fuori di sè, che alla lunga potrebbe paralizzare e offuscare la vitalità dell’Islam.

Quando muovevo i primi passi nello studio della lingua araba, che oggi cerco di trasmettere agli altri, nell’ eseguire esercizi di fonetica mi resi conto di un fatto: i suoni della lingua araba, che è poi la lingua del Corano e la lingua della liturgia islamica, rispetto ai suoni dell’italiano interessano zone interne dell’apparato fonatorio. Per imparare bene a pronunciare l’arabo, infatti, un parlante italiano deve attivare la parte posteriore della lingua e diversi punti della faringe e della glottide che, simbolicamente, spostano l’attenzione dall’esterno, all’interno. Similmente, l’Islam è una via che costringe l’essere umano a guardarsi dentro, nell’oscurità delle proprie viscere. È un movimento del cuore che sconvolge il nostro vissuto, che gradualmente creando diverse armonie fa suonare le corde della nostra anima in modo nuovo. Questo potente movimento si trasferisce poi all’esterno e diventa azione, retto comportamento. Diventa abitudine che ci ricorda chi siamo, e che dà nuova vita al movimento del cuore, che in fondo ci fa stare in piedi e centrati verso l’obiettivo. Il peso e la fatica si dissolvono in un attimo se si pensa che ogni respiro consapevole nella via dell’Islam è un soffio di libertà.