Madre Siria, eri bella

Souad Mardam Bey
Dipinto dell’artista siriana Souad Mardam Bey

Petruro Irpino (Avellino). E’ una giornata molto calda, la spaziosa piazza bianca riflette i raggi del sole, tanto da costringermi a coprirmi gli occhi con una mano e a cercare un posto all’ombra. Da qualche tempo Petruro Irpino ospita famiglie di rifugiati tra cui siriani, che hanno cambiato la vita del paese e destato la curiosità di molti. Una signora mi saluta e mi dice: “Mi dispiace per quello che sta succedendo fra Siria e Turchia, anche se francamente ne so molto poco, quindi non saprei da che parte stare.” Filomena* sembra provare imbarazzo nel pronunciare quelle parole e io la rassicuro dicendole che nonostante gli anni di studio, anche io faccio fatica a comprendere fino in fondo la complessità di un conflitto che si perpetua ormai da 9 anni e che ha una storia ben più lunga alle spalle. Cerco di dare qualche spiegazione in più, pur consapevole che è limitata, insufficiente, parziale. Filomena ascolta con attenzione, visibilmente interessata a comprendere meglio il mondo da cui vengono i suoi vicini siriani, con cui ancora ha difficoltà a comunicare a causa della lingua. Lei forse non lo sa, ma in quel momento sta compiendo un atto rivoluzionario dal valore umano inestimabile.

La domanda è sempre la stessa: “Da che parte stare?” Non è facile rispondere: ogni affermazione sembra sbagliata, arrogante e ingiusta, imprigionata nella paura costante che possa essere usata per diffamarti, che possa danneggiare l’immagine dei siriani, che possa ferire o indignare qualcuno. Parole come “dalla parte dei civili”, “pace”, “umanità” sembrano banali e prive di senso. Succede soprattutto ai figli della Siria, quelli che ci sono nati, che lì sono andati a scuola, hanno lavorato, si sono sposati, hanno bevuto fiumi di tè e guardato infinite serie televisive sgranocchiando biscotti e noccioline. Succede a quelli che sono stati cresciuti da genitori siriani, quelli che ci trascorrevano le vacanze estive, quelli che non hanno mai potuto vedere la Siria, ma a cui i genitori hanno trasmesso la lingua e la cultura siriana. Succede a quelli  che hanno trascorso anni di studio e di lavoro lì, succede a quelli che hanno la Siria dentro per un motivo ignoto. La Siria è una madre generosa e accogliente che non fa differenza fra figli naturali e figli adottivi. Non è morta, quindi il dolore che si prova nel vederla torturata, distrutta, agonizzante non è assimilabile al lutto. E’ diverso, ti spezza in due, ti fa sgorgare lacrime pesanti e amare, che non sapevi fossero albergate in un luogo oscuro del tuo essere. Ti fa vivere un senso di inquietudine costante che a volte riesci ad arginare dimenticandola, ignorandola, ma tanto lei torna, perchè è così, una madre non puoi mai eliminarla dalla tua vita. Le parole dei figlie e delle figlie della Siria sono sempre intrise di emozioni contrastanti e così diventa faticoso esprimersi sulla situazione politica del paese, spiegarne l’intricata storia, far luce sulle diverse componenti della sua società. Le parole dei figli e figlie della Siria a volte sono ascoltate con sospetto, come se il coinvolgimento emotivo impedisse un’ analisi lucida e razionale. Per fortuna non la pensa così Filomena e chi, come lei, è ancora aperto al dialogo e all’ascolto autentico in un mondo dove comunicare pacificamente risulta a volte impossibile.

Ad ogni modo ci sono giorni in cui si ha la sensazione di essersi abituati a tutto questo, ma poi arriva qualcuno che ti chiede “com’era la Siria?” – “Kif kanat Surya?” e tu sei costretto a rispondere “Kanat helwe” – “era bella”. In queste due parole era/kanat si nascondono tutte le lacrime siriane, che io oggi ergo a bandiera dell’umanità che resiste e rivendico il pianto come atto politico consapevole, di chi sa bene da che parte stare.

souad mardam bey 2
Dipinto dell’artista siriana Souad Mardam Bey

*Nome di fantasia.

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