Ieri sera ho avuto il privilegio di essere tra gli spettatori di Antropolaroid di Tindaro Granata, nella mia amata Napoli, presso lo spazio teatrale Sala Assoli. Le righe che seguono sono un tentativo per dire “grazie”, perchè un lungo applauso non mi è bastato. Ho pianto a dirotto per tutto il tempo, anche quando accennavo un sorriso, anche quando gli altri ridevano. E mi sentivo a disagio e sola. Il senso dello spettacolo autobiografico, spiega Tindaro, è racchiuso nelle parole della nonna antica, nonna Concetta: “E ricordati nipotinu meu, avrai tanta fortuna. Tanta bellezza e tanta sofferenza”. Quella sofferenza ha un sapore diverso a seconda di come e dove sei cresciuto. Quella di Tindaro, che con infinita generosità e sincerità racconta pezzi della sua vita è la sofferenza del Sud, del Mediterraneo che accarezza Napoli e fa sentire la sua brezza anche nella mia fredda Irpinia, il mare che ha accompagnato la vita di Tindaro nella sua calda, gioiosa e nostalgica Sicilia, quello che si scorge dalle coste del Medio Oriente e del Nord Africa. I racconti di Tindaro, mi hanno spinta lontano nella mia infanzia, nei luoghi delle ferite mai guarite, delle ingiustizie mai comprese, poi, come le onde di un mare in tempesta mi hanno colpito, mi hanno scosso e scaraventato fino a quel villaggio di cui non voglio mai parlare: Artas, in Palestina, dall’altra sponda del Mediterraneo. Tindaro rappresenta il femminile e il maschile delle nostre terre, gli intricati rapporti d’amore, l’ossessione per l’opinione altrui, la solidarietà necessaria e opprimente, le lotte per sopravvivere, la saggezza dei nonni, la loro tenacia e infinita pazienza. L’amore assurdo per una terra piena di spine, di arsura e di venti implacabili, da cui un giorno ci allontaniamo per guardare altrove, per diventare grandi. Tutto esplode quando lui ha il coraggio di spezzare la catena. Lo fa decidendo di diventare se stesso, di seguire il suo destino, di assecondare le sue passioni, viaggiando in direzione contraria rispetto al suo mondo. Con il suo spettacolo Tindaro sprofonda nella sua storia, nella memoria della sua famiglia, per strappare dalla terra le sue radici e riportarle in superficie, così da guardarle bene, per celebrarle e farne dono a noi spettatori. Le sue parole, i suoi gesti, i suoi sgurdi hanno qualcosa di strano, di inconsueto, di raro: sono veri. Ed è per questo che la sua arte è capace di muovere qualcosa dentro di me, di irrorare il seme della rivoluzione, di cui tutti abbiamo bisogno prima o poi. Mi ricorda chi sono e da dove vengo, e mi fa svegiare con una forza ed un coraggio rinnovati. Sì, da ieri non sono più la stessa. Grazie Tindaro!