Il telaio di Penelope (1)

 

penelope Mi chiamo Penelope, vivo a Itaca, dove ogni pietra della strada ogni foglia di ogni albero, ogni goccia del mare potrebbe raccontarvi qualcosa di me. Oggi è una giornata insolita: non fa né caldo né freddo, il cielo non è ne azzurro né bianco. Tutto trasuda di incertezza, instabilità, dubbio …

 Sono stanca, le mie palpebre restano aperte a fatica, non sento più le mani che pazientemente tessono di giorno e stessono di notte… tesso e stesso, tesso e stesso, tesso e stesso.

 Ogni filo di quel sudario rappresenta un pezzo del mio dolore, della mia pazienza, del mio coraggio, della mia fedeltà, della mia vita. Mi manca, Ulisse, mi manca moltissimo, sento una voragine nel mio petto e non riesco più a trovare un punto nel mio cuore, nella mia testa, nel mio corpo dove risieda un po’ di speranza. Sono terrorizzata al pensiero che lui non torni più. Ho paura che non sia partito alla conquista di se stesso, attraverso i mille luoghi che visiterà e che non abbia capito il senso dei suoi viaggi. Se fosse così potrebbe continuare a viaggiare all’infinito e non tornerà mai da me. Chissà se starà usufruendo della sua umanità per assorbire tutta l’energia e la saggezza degli straordinari posti che sta visitando.. Tornerà da me forte del nostro amore e di quello che questo amore sarebbe capace di costruire? Io non lo tratterei qui a Itaca, ma partirei insieme a lui per altri straordinari viaggi, ma forse lui questo non lo sa.

Sono esausta, ne ho abbastanza di amare questa mia terra così tanto da temere di allontanarmi da  essa. Voglio che i miei piedi calpestino altre terre, che il mio corpo si bagni in altre acque, che i miei capelli vengano attraversati da un altro vento, che la mia pelle bruci sotto un altro sole.

“Mia cara amata Itaca, con il cuore pieno di gratitudine e riconoscenza per avermi accolto nel momento in cui sono venuta alla luce, il tuo suolo mi ha concesso di muovere i miei primi passi, le tue viuzze mi hanno permesso di scoprire ogni tuo angolo, di assaporarlo, di fare di esso il mio piccolo rifugio quando mi sentivo smarrita. Ogni cosa qui racconta di me, e ogni fibra del mio corpo è intrisa del tuo spirito, mia cara Itaca. Ora però è giunto il momento di partire, di allontanarmi da te, ma solo per un po’. Non temere ritornerò un giorno e poi ripartirò nuovamente per poi visitarti ancora. Non essere triste,mia dolce isola, perché tu vivi nei miei occhi, nella mia bocca, nel mio cuore, nella mia mente. Tu appartieni a me e io appartengo a te.”

 Rilessi velocemente quello che avevo scritto, convinta che sarebbe bastato poco a intraprendere questo mio viaggio: dovevo solo mettere qualcosa di utile in valigia, e camminare verso il porto, salpare su una nave… e via lontano da qui!

 C’era però qualcosa che mi teneva prepotentemente legata a quella terra, che mi immobilizzava,come un pesante macigno a causa del quale ogni movimento mi era impossibile. Respirai profondamente e mi stesi sul letto in preda ad un senso di impotenza improvviso. Poi, gli occhi caddero sul mio macigno, sulle mie catene, su ciò che aveva trasformato la mia casa in una prigione: il telaio.

Balzai dal letto in un momento e mi precipitai verso il telaio con l’intento di distruggerlo, ma una volta vicina qualcosa mi impedì di agire. Avevo trascorso sedici lunghi anni a tessere e stessere quei numerosi fili, di cui ormai conoscevo ogni singola fibra. Con amore e dedizione e pazienza avevo intrecciato quelle trame …Cosa avrei fatto senza il mio telaio? Come avrei trascorso la mia vita? Com’era la vita lontano da Itaca? Poteva esistere una Penelope senza telaio e lontano da Itaca? che cosa ne sarebbe stato dell’isola e di Telemaco? E se Ulisse tornasse mentre io sono via?

Il mio telaio e la mia Itaca, l’unica certezza che avevo a cui ero stufa di ancorarmi. Probabilmente mi sarei persa, non avrei mai più incontrato Ulisse, sarei stata infelice, avrei rimpianto di aver lasciato Itaca, ma in compenso avrei vissuto senza rimpianti. L’unica cosa che volevo in quel momento era vivere, vivere la mia umanità fino in fondo, vivere libera dalla rabbia che provavo nei confronti di Ulisse, nei confronti di chi non apprezzava i miei sforzi nel tenere in piedi il regno e nell’accudire Telemaco. Niente più incubi! niente più paure! niente più sensi di colpa! Dovevo andare, perdonare, perdonare me stessa per il dolore che mi ero inflitta in quei lunghissimi anni e così partii per un lungo viaggio che mi condusse in Siria. Mi stabilii per qualche tempo a Damasco, una città magica, di estrema bellezza, abitata da un popolo generoso, accogliente e coraggioso, che mi indicò quale via dovevo seguire per essere felice.

Ben presto mi accorsi che non era Ulisse che cercavo, ma qualcosa di più profondo, qualcosa di misterioso che non mi fu difficile riconoscere. Stavo cercando la fede, stavo cercando la mia spiritualità perduta, stavo cercando Dio…..

 

(Rosanna Maryam Sirignano)

alba

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